Monte Penna, un balcone sulla Romagna
nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi
Italiano
ABETI PER LA REGINA
Eccoci accanto all'abete. Abbiamo la possibilità di scendere sotto strada per osservarlo dal basso nella sua interezza. Un metro e dieci di diametro a un metro e mezzo di altezza e 25/30 metri di altezza complessiva. Non è un esemplare unico in foresta, di piante di queste dimensioni ve ne sono diverse in questo bosco.
Abeti di questa tipologia e dimensioni, ma anche più grandi, hanno avuto una storia molto particolare nel XVI e XVII secolo. Erano richiesti dall'Inghilterra per realizzarci gli alberi delle loro navi. Questa nozione storica potrebbe esaurirsi qui, ma come e con che mezzi queste piante, che senza rami e tagliate ad una lunghezza di 25 metri si aggirano sugli 80/90 quintali, arrivavano oltre Manica? In modo non particolarmente ingegnoso, ma da molto e duro lavoro. Una volta abbattute, e a colpi d'ascia già questo non era cosa da poco, erano trainate con cavalli, buoi e con la forza delle braccia alla più vicina strada carrabile per i mezzi d'allora. Caricate su speciali carri (l'equivalente dei nostri autoarticolati) venivano portate al Porto dell'Arno (luogo a Ponte a Poppi che ancora porta questo nome) e qui stivate. Questo era un lavoro per forza di cose prevalentemente estivo. Alle prime piene autunnali del fiume gli abeti erano messi in acqua e, guidati da esperti barcaioli, arrivavano sul mare di Pisa dopo circa 250 chilometri di percorso. Qui caricati si navi partivano per l'Inghilterra.
Viene spontanea una domanda apparentemente banale - In Inghilterra o nel Nord Europa non c'erano abeti onde evitare di dover arrivare a prenderli in Toscana? - La risposta è altrettanto banale - Nei paesi del Nord Europa, oggi importanti produttori di legname di abete, non c'era stata una comunità di monaci che fin dal XII secolo si erano dedicati alla "coltivazione" dell'abete come invece era accaduto all'appennino casentinese con i monaci camaldolesi.
Insomma, nella memorabile battaglia dell'8 agosto 1588 nella quale la flotta inglese della Regina Elisabetta I sconfisse l'Invincibile Armata di Filippo II di Spagna c'era anche un po' di Casentino.
Abeti di questa tipologia e dimensioni, ma anche più grandi, hanno avuto una storia molto particolare nel XVI e XVII secolo. Erano richiesti dall'Inghilterra per realizzarci gli alberi delle loro navi. Questa nozione storica potrebbe esaurirsi qui, ma come e con che mezzi queste piante, che senza rami e tagliate ad una lunghezza di 25 metri si aggirano sugli 80/90 quintali, arrivavano oltre Manica? In modo non particolarmente ingegnoso, ma da molto e duro lavoro. Una volta abbattute, e a colpi d'ascia già questo non era cosa da poco, erano trainate con cavalli, buoi e con la forza delle braccia alla più vicina strada carrabile per i mezzi d'allora. Caricate su speciali carri (l'equivalente dei nostri autoarticolati) venivano portate al Porto dell'Arno (luogo a Ponte a Poppi che ancora porta questo nome) e qui stivate. Questo era un lavoro per forza di cose prevalentemente estivo. Alle prime piene autunnali del fiume gli abeti erano messi in acqua e, guidati da esperti barcaioli, arrivavano sul mare di Pisa dopo circa 250 chilometri di percorso. Qui caricati si navi partivano per l'Inghilterra.
Viene spontanea una domanda apparentemente banale - In Inghilterra o nel Nord Europa non c'erano abeti onde evitare di dover arrivare a prenderli in Toscana? - La risposta è altrettanto banale - Nei paesi del Nord Europa, oggi importanti produttori di legname di abete, non c'era stata una comunità di monaci che fin dal XII secolo si erano dedicati alla "coltivazione" dell'abete come invece era accaduto all'appennino casentinese con i monaci camaldolesi.
Insomma, nella memorabile battaglia dell'8 agosto 1588 nella quale la flotta inglese della Regina Elisabetta I sconfisse l'Invincibile Armata di Filippo II di Spagna c'era anche un po' di Casentino.